Babywearing e depressione post-partum

Dopo aver fantasticato, durante i nove mesi di gravidanza, sul parto e sull’aspetto del bambino, la mamma si trova ad affrontare la realtà e a scontrarsi con la frequente delusione delle proprie aspettative. Il momento del parto, il termine del viaggio che porta al primo incontro con il suo bambino, dovrebbe essere un’esperienza piacevole e rispettosa ma purtroppo potrebbe risultare non soddisfacente o addirittura traumatica per entrambi.

 

Al rientro a casa la mamma potrebbe essere confusa, frastornata, dolorante, spaesata, arrabbiata. Molto probabilmente è stanca.
Il rischio di baby blues, disagio interiore della neo-mamma, transitorio, che può manifestarsi nei primi giorni o settimane dopo il parto, diminuisce se dai primi momenti della relazione madre-bambino chi ruota attorno alla diade avrà un atteggiamento volto alla creazione di un rapporto tra i due intenso, efficace e soddisfacente. Per questo è importante tessere già dalla gravidanza una rete attorno alla madre, che possa sostenerla e supportarla a nascita avvenuta.

Come si sostiene una madre? Dandole fiducia nelle proprie capacità, e fornendole dei mezzi che le confermino quotidianamente o quasi il suo essere perfettamente adeguata, una “brava mamma” per il suo piccolo.

Il babywearing, l’arte di indossare il bambino, è un’ottimo strumento per prevenire il baby blues.
L’avvolgere il piccolo in una fascia lunga, tessuta o elastica, attorno al corpo della mamma ha un effetto rilassante e calmante per il bambino, che si calma se sta piangendo e si addormenta se è stanco. Questo costituisce un successo per la mamma, che sarà riuscita con un semplice “pezzo di stoffa” a prendersi cura del proprio bambino con efficacia. La mamma così riesce a mangiare, uscire, a fare le proprie cose, sentendosi capace e soddisfatta.

La vera e propria depressione post-partum o post-natale, sembra interessare il 10-15% della popolazione femminile, e viene denominata tale se la sua insorgenza è entro le prime quattro settimane successive al parto.
A differenza del baby blues, questa non ha carattere transitorio e se trascurata tende a divenire una patologia cronica che andrà a compromettere la relazione madre bambino anche negli anni successivi al parto. In che modo il babywearing può intervenire in una patologia così complessa? Innanzitutto è necessario che la donna venga vista, e non giudicata da chi ha intorno. A questo punto, nell’idea di un approccio globale alla questione, che contempla anche farmaci e psicoterapia, individuale e familiare, si potrà inserire il babywearing.
In un primo momento si insegnerà non alla madre ( che potrebbe avere un rifiuto del bambino e del contatto) ma alle altre figure di cura (papà, nonni, tate). Nella fase successiva di trattamento e recupero invece, esso sarà un’ottima risorsa. Si sceglieranno i momenti migliori per far provare alla mamma a portare il suo bambino (dopo la poppata o il bagnetto) in modo che sia più probabile che il bambino accetti di essere avvolto.
Il contatto stesso e l’efficacia del metodo a quel punto contribuiranno a fare il resto, a recuperare una relazione e incoraggiare una mamma che vedrà il proprio figlio stare bene grazie a lei e che si sentirà brava e capace e sarà spinta a continuare.

Man mano che la donna si sentirà sempre più pronta e abile nel suo ruolo di madre la relazione della diade sarà più profonda e reale, e il percorso sembrerà affrontabile.

Autore: Sara Mariotti

Consulente BWI

Sara Mariotti Consulente Babywearing Italia

 

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